La casa è in cima a una collina, ci incamminiamo a piedi lasciando le bici sulla strada, l’idea di andare lassù pestando sui pedali ci fa venire la nausea, è da stamattina che scaliamo montagne. C’è un vecchio pickup fuori dalla casa, chiamiamo sperando che ci sia qualcuno, fuori dalla porta sono appese delle casette di legno per gli uccelli, si sente armeggiare da dentro con la maniglia. Si affaccia un uomo di mezza età con una barba lunghissima, pelato, una t-shirt con le maniche tagliate, gli manca solo il fucile per spararci. Ci affrettiamo a chiedere se sa qualcosa di questa casetta che è segnalata sulla cartina dell’American Cycling Association, qui vede? Dovrebbe essere qui vicino, according to the map, dovrebbe essere un rifugio per la notte per i ciclisti della Great Divide…

L’uomo dalla lunga barba guarda la mappa e poi si gira verso l’oscurità della casa chiamando qualcuno. Dopo pochi secondi appare il fratello, più magro ma con la stessa identica barba e più capelli. Sembra più giovane e comincia a confabulare col fratello, entrambi si stropicciano la barba con lo stesso gesto, mentre riflettono. 

Con un vecchio cordless chiamano qualcuno, parlano per un po’ un inglese incomprensibile fatto di suoni che restano incastrati in bocca, ridono, poi riattaccano e ci spiegano con una dolcezza e una gentilezza inaspettata, eravamo ancora lì che ci aspettavamo una fucilata per invasione di proprietà privata, che sì la casetta c’è è dentro a un ranch e la persona ci sta aspettando, e parte una spiegazione dettagliatissima di dove girare e come trovare il nostro ricovero per la notte.

Sarà che non ci speravamo più, sarà la stanchezza, sarà che il sole sta per tramontare e comincia a fare freddo ma all’improvviso i due vecchi fratelli diventano gli adorati fratelli McPheron di Kent Haruf*. Rivedo nelle loro facce la stanchezza di una giornata durissima di lavoro, la timidezza di chi è abituato a stare da solo, la gentilezza schietta e pulita come di un bambino.

Deve essere il freddo, sì, un brivido mi risveglia, riscendiamo a prendere le bici.

Lucy viene ad aprirci il cancello, camminando incerta sulle gambe; entriamo come fosse un sogno in un ranch meraviglioso, curato e pieno della storia di tutta una vita. Pioppi enormi con le foglioline sonanti circondano la casa, ci mostra la casetta di legno dove dormiremo, i cavalli, scompare e riappare poco dopo con un piatto pieno di fette di anguria. Trema mentre appoggia il piatto. Chiediamo subito perché lascia aperta la sua casa ai ciclisti e ci dice che i ciclisti sono sempre belle persone con storie affascinanti da raccontare e poi anche lei andava in bici, da giovane, prima che le venisse il parkinson. Sorride, sorride sempre sotto un caschetto di capelli grigi, ci dice che lascerà la porta di casa aperta per farci usare il bagno e chiede se vogliamo la classica colazione del Wyoming domani mattina. Poco dopo arriva John, il marito, un cowboy magrissimo con la faccia da attore, gentile ma di poche parole, un po’ rude come si confà ai veri cowboy, con uno styling perfetto. Camicia Wrangler di jeans sbiadito, pantalone Carhartt cachi sdrucito sulle ginocchia, vecchia scarpa di cuoio, guanti da lavoro tenuti in mano. Come coi fratelli McPheron non capisco una parola di quello che sbiascica. Lo rivedremo la mattina dopo seduto a capo tavola, aiutiamo Lucy a preparare mentre lei spadella la preannunciata classica colazione del Wyoming, stick to your ribs la chiama, promette bene.

La casa è piena di foto, Lucy ha sempre avuto i capelli a caschetto, John aveva una bici quando era bambino, hanno avuto tre figli, hanno dodici nipoti e qualche pronipote, tutti vanno a cavallo, hanno avuto tanti cani, John dice che tutti i suoi cani sono sempre stati molto devoti, hanno un gatto. Sul frigorifero ci sono foto di tutti i nipoti e alcuni ritagli di giornale, una vignetta, un trafiletto dal titolo Trump is an hero.

Mangiamo quello che Lucy chiama biscotti fatti in casa, un panino aperto in due ricoperto di gravy, un sugo di salsiccia affogato in litri di latte. 

Essere ospiti è sempre qualcosa di speciale, ma essere ospiti quando si pedala da quasi un mese, ci si lava un giorno sì e uno no, si gira con scarpe infangate e si mangia spesso sedute ai bordi di una strada è un regalo, un regalo di Natale. Così, grati della porta lasciata aperta, dei sorrisi di Lucy, dello sguardo paterno di John, della spremuta d’arancia nei bicchieri del servizio buono, ci godiamo questi attimi prima di ripartire. Cosa ne pensate di Trump? Chiede Lucy a bruciapelo. Guardo le mie compagne disperata, lascio alla Pez il compito di arrampicarsi sugli specchi. No perché John lo odia.

Scopriamo così di essere capitate nell’unica casa e nell’unica famiglia anti-trumpiana di tutto il Wyoming. 

Ci scambiamo gli indirizzi, facciamo foto e Lucy ci abbraccia a lungo, un vero abbraccio che ci commuove, in quel modo che a volte hanno le persone malate. Senza pudore, aperture disarmanti che ti disarmano. L’unico modo per ringraziarci è che siate anche voi generosi con qualcun altro, ci dice salutandoci.

Restiamo per un bel po’ in silenzio mentre ce ne andiamo, dopo esserci girate mille volte a salutare con la mano Lucy, sempre più lontana; io penso che i posti più belli di queste vacanze sono state le persone. 

La donna che ci ha ospitate nella sua piazzola la prima notte di campeggio in Canada, quando ancora non sapevano niente; quelle che si sono fermate, che ci hanno aiutato, che ci hanno detto che eravamo forti e coraggiose, che ci hanno sorriso, i motociclisti sulle Harley che abbiamo incrociato mentre pedalavamo a cui abbiamo fatto pollice in su e che ci hanno indicato con l’indice come a dire: no, voi siete grandi! Ma anche quelli che ci hanno dato indicazioni per strada. Dal memorabile tipo che bloccava il traffico per lavori a cui abbiamo chiesto: quante miglia dura ancora questa salita? E ci ha risposto: Forever! Alla tizia a cui abbiamo chiesto: quanto manca per il passo? E ci ha risposto: più di quanto crediate, alle decine di persone che ci hanno detto: da qui in poi è tutta discesa. 

Oggi siamo a Breckenridge, in Colorado, ospiti di Alison e Philip. Ci hanno scritto in Facebook: la vostra avventura è fantastica venite a casa nostra. E così anche oggi è Natale. Una casa bellissima, due persone meravigliose che conoscono l’Italia meglio di noi e sanno come bagnare le friselle meglio di un pugliese. Una lavatrice e un’asciugatrice, un letto enorme. Philip fa dei cocktail che potrebbe farlo di lavoro, l’acqua per il ghiaccio dei cocktail la bolle due volte, e ha tutti i bicchierini appositi per miscelare e duecento bottiglie di liquori. Adora il Cynar, o Sinar come lo pronunciano qui, ed è cugino di Keith Harring. Quello strano cugino che da piccolo era ossessionato da Mickey Mouse e lo disegnava in continuazione. Alison si è presa cura di noi come una mamma, come una mamma buona intendo, dando le medicine a Silvia e preparandoci la schiscetta per domani.

Philip e Alison sono i nostri Babbi Natale per oggi, ora è quasi pronta la cena, andiamo ad aprire i regali. 

*Kent Haruf, Trilogia della Pianura. Se non l’avete ancora fatto vi consiglio fortemente di leggerla. http://www.nneditore.it/libri/trilogia-di-holt-cofanetto/

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