«Essermi sentita libera di diventare la donna che ho sempre sognato di essere». Francesca risponde senza esitazione alla mia domanda. «Ci ho pensato stanotte», ci dice sorridendo.

La domanda era semplice, al limite del banale, ma proprio per questo, forse, insidiosa.
«Cosa significa per te essere emancipata?».

Francesca vive con Claudia. Hanno due bambini. Una bambina di sei anni, Bice, e un bambino di quattro, Muad, marocchino, in affido da due anni e mezzo.

Ci accolgono nella loro casa, a Piacenza, la notte del nostro secondo giorno di viaggio. La casa è in pieno centro storico e dice di loro molto più di mille parole.
Una casa del ‘500 con affreschi alle pareti, piena di giochi sparsi in giro, di bambini che si rincorrono in mutande, uno stendino di vestiti da raccogliere. Una casa che sembra costantemente percorsa da un vento, come quando si è in mezzo a due finestre aperte che fanno corrente, e per i primi dieci minuti siamo un po’ frastornate.
Poi io e Silvia ci guardiamo e ci diciamo che questo vento che ci scompiglia ci piace.

Per cena arriva la loro vicina con la figlia, ha fatto la spesa per tutti e messo nel forno una pizza per i bambini. Poi arriva anche una collega di Francesca che comincia a cucinare un risotto ai frutti di mare.
«Il sale? Non avete ancora comprato il sale?».
Sembra di essere nel film Le fate ignoranti di Özpetek e da buone attrici non protagoniste aiutiamo a pulire i gamberi e a tagliare i pomodorini. Veniamo presentate a tutte come le due cicliste che vanno fino a Catania a parlare di emancipazione delle donne.

Francesca è anche un’imprenditrice, si è inventata dieci anni fa una start up che si occupa di tecniche di insegnamento per ragazzi con disturbi dell’apprendimento e che ora ha sedici sedi, è un’insegnante, è una mamma, appunto, e un sacco di altre cose. Claudia dice che è come stare dietro a un tornado ma poi lei non è che sia tanto diversa.
Libera, svincolata, emancipata.
Penso che Francesca sia proprio così, che lo sia la sua compagna, che lo saranno i loro figli.

«Ogni tanto mi faccio questo film: che quando Muad sarà grande e magari ci saremo persi di vista io lo incontrerò per strada e lui si sarà fatto un tatuaggio come il mio sul braccio e starà combattendo per i diritti delle donne arabe».

Francesca sogna e Claudia la prende un po’ in giro ma anch’io mi immagino Muad che cammina per strada. Lo immagino con una luna tatuata sul braccio e lo sguardo fiero e libero di chi è stato amato per davvero.

Partiamo per la terza giornata direzione Cremona con il cielo che non promette niente di buono mentre Muad e Bice ci salutano assonnati.

 

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