Credo che Dante abbia dimenticato di scrivere il girone infernale dove tutti devono stare nei sacchi a pelo mummia.

Sono passati venti giorni dalla nostra partenza e ancora non mi rassegno, si sì lo so che è fatto per mantenere il calore a temperature molto rigide, che è l’ideale per il nostro viaggio, ma mi sento prigioniera. Come una farfalla che gli va stretto il bozzolo, come un neonato che non respira nella sua fasciatura, come una mummia, appunto, precocemente destinata a un’immobilità eterna; con una voglia di muovere le gambe, allargarmi, un impulso irresistibile di mettermi a quattro di bastoni che ovviamente nel mio letto di casa non mi prenderebbe mai. 

E tutto quello spazio angusto, sacco a pelo mummia, tenda microscopica che bisogna girarsi sincronizzandosi per non scontrarsi, ma che così pesa poco e possiamo portarla in bici, fa a pugni con la sensazione che lo sguardo incontra appena cominciamo a pedalare. 

Spazi enormi come non ne ho mai visti prima, in cui l’occhio incredulo si perde, in cui sembra si possa respirare più profondo, spazi sconfinati verrebbe da dire, se non fosse che è tutto uno steccato, filo spinato, griglie metalliche a terra per dividere i pascoli e non far passare le mucche. Spazi sconfinati pieni di confini. 

Ora capisco perché questo spazio possa ispirare tanti sogni e forse anche tanta paura. Per un attimo, dopo avere percorso centinaia di chilometri e aver trovato solo cespugli, mucche, e vuoto e ancora vuoto in cui perdersi mi chiedo perché dovremmo cercare spazio su Marte quando il Montana potrebbe risolvere i problemi di sovrappopolazione di tante parti del nostro pianeta.

Le nostre tende poi sono davvero ridicole appena cominciamo a montarle nei campeggi e ci guardiamo in giro. Se ci eravamo stupite dei bellissimi campeggi canadesi, e di quelli del nord del Montana, se ci era sembrato tutto sovradimensionato, dall’ascia agli enormi camper, appena approdiamo nel Wyoming quegli altri diventano dei dilettanti. Qui i camper sono dei pullman, quelli con cui da noi vai a fare le gite in sessanta. Loro ci dormono in quattro e per non stare stretti attaccano dietro il carrello per portarsi le bici, mica che siano d’intralcio nel salone del ballo delle debuttanti. 

Camminiamo verso i bagni sempre più sconvolte dalla follia di questi americani che si portano dietro la casa; chi dietro il pullman ha attaccato la macchina, chi si è portato nel carrello l’Harley Davidson, chi ricostruisce recinti anche qui per farci scorrazzare i cani che nel campeggio devono stare al guinzaglio. Bambini che girano con mini moto, adolescenti che guardano un film di John Wayne seduti davanti allo schermo tv che si apre sul fianco del pullman, donne in bagno che si piastrano i capelli o con la testa piena di bigodini si truccano che io manco per il mio matrimonio.

Dopo giorni di secco, praterie, pranzi disperati sedute per terra sotto il sole, bagnandoci la testa con l’acqua delle borracce perché non c’è nemmeno un albero nel raggio di centinaia di chilometri, questo improvviso ritorno alla civiltà ci dà alla testa. Giriamo per il negozietto del campeggio comprando ridicoli souvenir, la nutella, l’olio. Laviamo tutto quello che abbiamo, i guanti da bici, dio mio i guanti!, nella enorme lavanderia a gettoni. Mangiamo la pasta e non la troviamo nemmeno male, a parte che la carbonara ha dentro i piselli, i peperoni, i pomodorini e qualsiasi cosa a caso basta che non sia prevista nella ricetta originale. Al cameriere diciamo solo: siamo italiane, sa la pasta, se si potesse avere non over cooked…

Stasera ultima notte nel campeggio civile poi si torna ai nostri campeggi wild con la legna da raccogliere, la sveglia all’alba e le cassette di metallo anti orsi.

Ora scusate ma vado a stirare il vestito elegante, ho un invito per una serata di gala nel pullman della piazzola 131.

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