“Io mangerei un piatto di spaghetti con le vongole”.

“Io un branzino al sale”.

“Io pasta e fagioli”.

“Io gnocco fritto e salumi”.

Passano un discreto numero di secondi tra una dichiarazione e l’altra, ognuna ci pensa oculatamente, come se davvero stessimo ordinando al ristorante. 

Ma stiamo solo facendo il gioco di metà pomeriggio quando abbiamo esaurito tutte le calorie di pranzo e cerchiamo di sostentarci con noci, mandorle, uvette, banane, barrette e intanto la fame si fa strada e sogniamo i nostri piatti preferiti. E ovviamente non ci limitiamo a enunciare quello che vorremmo mangiare ma partono descrizioni dettagliatissime di come deve essere cotto lo spaghetto, di quale salume deve accompagnare lo gnocco, e il branzino solo pescato che allevato non sia mai…

Poi arriviamo in campeggio e ci facciamo il riso comprato nel negozietto del paesino di cowboy del Wyoming che ha tempi di cottura da tre minuti a venticinque a seconda dell’umidità dell’aria, dell’alcalinità dell’acqua e di altri misteriosi fattori a noi ignoti e finiamo a mangiarci un pappone colloso con tonno e verdure dopo aver sognato la tartare di ricciola. 

A volte di notte sogno davvero di essere a cena nel mio ristorante preferito e mi accorgo nel dormiveglia di muovere la bocca come se stessi assaporando il gusto del cibo restato sulle labbra, ma in genere non è così drammatica la situazione. Ieri a Steamboat Spring in Colorado abbiamo mangiato una pizza fatta in un forno a legna con pomodoro San Marzano e real mozzarella davvero buona e qualche volta gioiamo delle ricette che riusciamo a cucinare sui nostri piccoli fornelli da campeggio. Basta una cipolla rosolata, un po’ di pepe e la felicità è lì, pronta per essere servita. 

Ci manca la frutta, ma ci dicono che in Colorado sarà più facile trovarla, e dopo quasi un mese siamo diventate super paranoiche sulle porzioni e sulla divisione precisa del cibo, ieri a pranzo abbiamo contato i tortelli, ma onestamente con tutta la fatica e il grado di adattamento che questo viaggio richiede direi che è il minimo che possa succedere.

L’acqua qui è quasi sempre orrenda, quella che scende dal rubinetto sa sempre di cloro, così come ovviamente la tap water che ti servono gratuitamente al ristorante, così siamo costrette ad assaggiare tutte le birre artigianali locali che comunque, a detta dei milioni di articoli apparsi negli ultimi due anni, fa benissimo dopo lo sport perché reintegra i sali e fa bene allo spirito, specie dopo aver bevuto tutto il giorno dalle nostre borracce acqua calda al cloro.

La nutella ci ha letteralmente salvate in mille situazioni; una botta di olio di palma, grassi saturi, emulsionanti, che sono una toccasana nei momenti di down calorico, così come i salubrissimi orsetti Haribo, tra parentesi: mi candido ad ambasciatrice mondiale, che nei momenti di depressione pre-salita ci da coraggio. In genere ci appelliamo al dio degli orsetti gommosi perché ci dia la forza, perché ci metta un motore nelle gambe che quasi vadano su da sole. Questo in genere accade alla centocinquantesima salita della giornata.

Un altro dio molto acclamato e venerato è quello del Signor Fisherman, guardando verso il cielo declamiamo la preghiera: Signor Fisherman, tu e i tuoi amici, dal freddo dei mari del nord dove siete nati, soffiate tutti assieme un vento rigenerante che asciughi tutto il sudore e ci rinnovi nell’ardore di tutta la strada che manca. A quel punto ci mettiamo in bocca una pastiglia rigorosamente gusto originale, al limite anice e liquirizia, e riprendiamo a pedalare.

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