Vecchi treni regionali passano sobbalzando ritmici sui binari, un cancello automatico si apre e si chiude senza tregua, le macchine entrano ed escono da un palazzo di venti piani che avrebbe bisogno di una buona ristrutturazione. In un angolo della via chiusa, l’assessore cerca di far sentire la sua voce sopra allo sferragliare dei vagoni e al cigolio del cancello. Fa caldo ma i carabinieri rimangono fermi impassibili di fianco all’assessore con la fascia tricolore.

Cari mamma e papà, oggi mi hanno dedicato una via a Milano. A me, alla Fonsina. La seconda dei vostri dieci figli, quella matta che non ne voleva sapere di stare a marcire nella campagna bolognese, che non voleva fare la fame ricamando le lenzuola per i ricchi, quella con la testa dura e le gambe forti che voleva correre in bici a tutti i costi. Sono stata per tutta la vita una vergogna per voi: vai a messa, scendi da quella bici, mi urlavate in continuazione. E le botte che mi avete dato per raddrizzarmi.

Ma io la testa dura ce l’avevo per davvero e me ne sono andata a Milano e nel 1924 ho corso il giro d’Italia con gli uomini.

Adesso l’assessore qui che parla con la fascia tricolore dice che sono stata la paladina dei diritti delle donne, la promotrice della parificazione degli sport maschili e femminili. Certo non volevo fare la fine di mia madre, coi suoi dieci figli, avevo fame ed ero forte e volevo correre proprio come gli uomini. Ma mi tremavano le gambe quando mi insultavano per strada perché pedalavo coi pantaloncini corti. Insomma non so se avevo poi tutto questo coraggio, forse le paladine devono essere più coraggiose di come ero io. Io ero testarda quello sì, e volevo correre, essere una corridora, sfidare tutti a chi arrivava prima, come facevo da piccola sulle strade di Fossamarcia. Io volevo sentire il vento forte e pulito che mi portava via gli odori dei vestiti vecchi che avevo addosso, del letame nei campi, del cavolo che bolliva in cucina. E pestavo sui pedali, pestavo come una matta e mi sembrava quasi di volare.

Cari mamma e papà chissà se oggi finalmente sareste fieri di me. Una via, una via per vostra figlia, la figlia rinnegata. Una via come per Carducci, come per Garibaldi. Via Alfonsina Strada. Sì certo potreste avere da dire che è una via chiusa, in periferia, dove forse la sera si spaccia, una via che per trent’anni non è stata riconosciuta nemmeno come via, non aveva un nome, era la via senza nome, una via ai confini della città, ma è una via che mi assomiglia, anch’io sono nata sfortunata e poi ho cambiato il mio destino.

Cari mamma e papà chissà se oggi sareste stati fieri di me, o se avreste avuto ancora quello sguardo, come quando abbiamo fatto tappa a Bologna col giro d’Italia e io ero già diventata una celebrità e tutti mi aspettavano all’arrivo per farmi i complimenti e chiedermi gli autografi. Il Re addirittura mi aveva fatto recapitare delle rose rosse qualche tappa prima. Voi siete venuti all’arrivo e stavate in disparte, imbarazzati, impacciati coi vestiti buoni e con lo sguardo sfuggente. Mi avete dato due baci sulle guance come si fa coi parenti lontani, tu mamma hai anche detto brava ma ti è uscita una voce strozzata e io lo so che avresti voluto dirmi: cosa ci fai qui? Scendi da quella bici e vai a messa.

La targa nuova di zecca biancheggia all’angolo di questa via che non aveva un nome e ora ce l’ha. Alfonsina Strada col suo coraggio e la sua forza starà qui a ricordare la sua storia. I treni continuano a sferragliare. L’assessore si asciuga il sudore e torna in comune, noi cominciamo a pedalare con la commozione e la bellezza che la Fonsina ci ha ispirato dalla prima volta che l’abbiamo incontrata.

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Con l'Assessore Dal Corno e le Associazioni di donne e ciclise

Cernobbio