Milioni di anni fa qui c’era il mare, il mare del Pilocene, che se vai a vedere su wikipedia è la seconda delle due epoche geologiche che compongono il Neogene, che ebbe inizio 5,332 milioni di anni fa e terminò 2,588 milioni di anni fa. A pensarci bene, a questi milioni con la virgola, noi che la nostra vita dura al limite come gli ultimi due decimali, gira la testa; ma ora, qui nel presente, a girare vorticosamente è qualcos’altro.
Siamo impantanate da mezz’ora con le nostre bici in un mare di argilla, le scarpe sono diventate due zolle da cinque chili l’una e scopriamo che mai parola fu più ingannevole e imprecisa di parafango. Scriveremo all’Accademia della crusca, ci diciamo mentre imprecando proviamo a togliere con le dita la creta che si è incastrata sotto al maledetto parafango, che tutto fa tranne che parare il fango; quindi cara Accademia della crusca proponiamo da oggi di chiamarlo parapioggia o incastrafango o qualsiasi altra parola che metta al riparo delle ingenue creature da spiacevoli situazioni come questa. Siamo nel bel mezzo delle crete senesi, il nome deriva da questa argilla, mista a salgemma e gesso, detta mattaione, reminiscenza del mare che copriva l’area, e prendere una scorciatoia dopo la pioggia di ieri non è stata una buona idea.
Le ruote sono diventate un blocco unico con l’incastrafango e non girano più, abbiamo fatto troppa strada per tornare indietro e davanti a noi la situazione non sembra migliorare. Ci carichiamo le bici in spalla e proviamo a uscire con le nostre pantofole di argilla da questo pantano.
In lontananza intravediamo qualcosa che sembra ghiaia, e dei prati con greggi di pecore e cani pastore che abbaiano minacciosi.

Mentre mangiamo una lasagnetta agli spinaci, da far invidia a uno stellato, mi rigiro tra la mani una conchiglia incrostata da milioni di anni che è appoggiata sul lunghissimo tavolo in travertino. Siamo tornate al podere, la ghiaia ha tolto gli ultimi residui di creta dai parafanghi, le ruote hanno ricominciato a girare, i cani pastore non ci hanno mangiato, si sono lasciati impietosire dalle nostre facce già sufficientemente provate; dopo tutta quella fatica ora ci sembra di essere in una specie di paradiso in cima a queste colline, con lo stomaco pieno di prelibatezze, il corpo mondato da tutto il fango, le gambe stanche, gli occhi pieni delle luci e ombre delle nuvole che si muovono lente e tirano fuori dei verdi, dei blu, degli ocra saturi e brillanti. Il silenzio rotto solo dal garrire delle rondini in questa primavera gelida che sembra più fredda dell’inverno appena passato.
Nelle classifiche mondiali, subito dopo il chiringuito sulla spiaggia tropicale, la Toscana è uno dei migliori altrove dove ambientare le proprie ipotesi di felicità. Le colline, il silenzio, il fuoco la sera, l’orto che produce ogni ben di dio, i cerbiatti che ti attraversano la strada mentre scendi in paese a comprare il pane e lo yogurt, la volpe che cerca cibo dietro alla finestra della cucina, i pavimenti in cotto antico, il pergolato sotto il quale bersi un bicchiere guardando il tramonto che guarda caso è proprio lì davanti e riscalda le vecchie pietre del podere, oltre al nostro pulsante organo interno.
Il trucco è non trasferirsi mai, lasciare tutti i sogni intatti, lamentarsi della propria vita pesante, compilare classifiche, progettare le prossime vacanze. Il chiringuito nella prossima vita, forse.

Niente fango, né creta, né cani minacciosi oggi, ma 62 chilometri fatti tutti d’un fiato, salite spaccagambe, sterrati, freddo terribile in discesa, ciclisti che ci superano come fossero dei motorini.
Nova eroica la chiamano, che a differenza dell’eroica classica si può correre con qualsiasi bici e non per forza con bici e abbigliamento d’epoca. I novi eroici infatti sono vestiti con completini super tecnici e con bici da migliaia di euro che sono uno schiaffo alla recessione economica. Ma forse lo schiaffo è alla mia inadeguatezza. Sì, perché per quanto me la racconti, per quanto mi rivendichi orgogliosamente ciclista per caso, che la lentezza è una grande opportunità, che voglio restare sempre un po’ improvvisata, che non mi interessa entrare in questa logica competitiva, l’ansia da performance mi ha preso già all’iscrizione di tre settimane fa.
E ora, con la bici mezza infangata, il completo spaiato, le scarpe comprate in saldo da Bicimania, mi sento la bambina che a Carnevale ha un vestito da contadinella arrangiato all’ultimo mentre la prima della classe ha il vestito da principessa tutto raso e pizzi. Niente non se ne esce, sono stata una bambina competitiva e contadinella e lo sarò fino alla morte, finiamola con la saggezza della maturità e tutta quella narrazione lì, penso, mentre sulla prima salita impegnativa tutti sti completini filano via su bici scintillanti e io cerco di darmi un’aria vaga di chi potrebbe anche andare più veloce ma oggi se la vuole prendere comoda.
Quando arriviamo scopriamo che dietro di noi c’era un sacco di gente e comunque dopo la terza salita i pensieri sono evaporati insieme alle goccioline di sudore della fronte, le gambe hanno preso il sopravvento e adesso siamo felici di tagliare il traguardo e di poterci dire anche noi eroiche, un po’ contadinelle, un po’ principesse, ma a modo nostro eroiche.

Fig., tempi e., epoca, periodo, o momenti della storia passata di una nazione, di un movimento, della vita di un gruppo o anche di un singolo individuo, duri e faticosi per le lotte da sostenere e le difficoltà da superare, ma appunto perciò intensi e pieni di entusiasmo, che si ricordano quindi con compiacimento, soprattutto se paragonati a un presente più piatto e meno interessante.

Eròico.