Arriva quel momento nei viaggi in bici che benché i vestiti siano puliti, solo per il fatto di stare compressi in una borsa, cominciano a odorare di sedili di treno.

Fanno quell’odore che c’era sui regionali per andare a scuola, ma anche nei vecchi scompartimenti coi sedili marroni in similpelle. Un odore indefinibile di chiuso, stantio, umidiccio, di residuo ferroso.

C’è da dire che per quanto ogni sera laviamo il fondello dei pantaloncini e la maglia tecnica sono comunque lavaggi col sapone o il bagnoschiuma dell’albergo, mentre il giubbino e le calze vengono semplicemente messi a prendere aria perché non si asciugherebbero mai in una notte.

Ad Agrigento staremo due notti e ci proponiamo quindi di lavare tutto; l’hotel ha il servizio lavanderia, evviva, finalmente toglieremo l’odore di treno dalla borsa e dai vestiti per qualche giorno. Prendiamo il listino prezzi. Foulard 7 euro, camicia 15 euro, pantalone 15 euro, cappotto 25 euro. Cappotto?

Facciamo un rapido conto dei pezzi che dovremmo lavare e decidiamo di procedere col nostro solito lavaggio saponetta e bagnoschiuma, stendendo tutto sui provvidenziali scaldasalviette.

Comunque mi riservo di suggerire alle reception che il cappotto in proporzione lo farei pagare un po’ di più.

I soldi risparmiati dal servizio lavanderia li investiamo in una buona cena e in un buon vino. Anche se devo dire che su questo non ci siamo risparmiate fin dall’inizio del viaggio, del resto la Sicilia è una tentazione unica. E noi non resistiamo.

Ovviamente il problema dei viaggi in bici non è solo il lavaggio dei vestiti ma anche il bagaglio limitato che ci ha obbligato negli anni a imparare a ridurre al minimo, a ottimizzare, a sottrarre. Un esercizio anche filosofico di ridurre all’essenziale ogni bisogno e di togliere il superfluo. Il risultato è che andiamo a cena io con il pile peloso della montagna che è la cosa più pesante che ho, e la sera fa freddo, e Silvia con delle elegantissime scarpe da cicloturismo col tacchetto incassato con cui riesce anche a camminare. Questo mentre di fianco a noi cenano coppie lui in giacca e cravatta lei con un vestito nero in lamè e scarpe con tacco a spillo vertiginoso. Loro pronti per Capodanno noi per due chiacchiere con Messner.

Se già di solito in bici non è facile trovare gli indumenti giusti per avere la giusta temperatura ed è un continuo metti e togli, in questo viaggio la complessità è elevata all’ennesima potenza. La mattina partiamo con 5 gradi quindi guanti, cappello, giubbino, termica. Poi verso pranzo 18 gradi, poi la discesa con l’aria fredda, poi c’è la salita, poi si rannuvola, poi esce di nuovo il sole. L’ultimo viaggio in cui c’erano questi excursus termici era la Patagonia. Fatto sta che è tutto un balletto di fermate e ripartenze, di aperture del bikepack, di stringere cinghie, di legare il giubbino sotto l’elastico e ripartire. Senza contare cerniere su e cerniere giù per regolare di qualche grado la temperatura. L’altro giorno all’ennesima pausa mi chiedevo: ma possibile che con tutti gli strumenti sofisticati che abbiamo e la tecnologia raffinatissima applicata a ogni aspetto della nostra vita, anche considerando solo il Garmin che misura qualsiasi parametro, non possiamo inventare un indumento che regoli la temperatura del corpo mantenendola costante?

Allora con Silvia comincio a esporre le mie idee, mentre pedaliamo affiancate sulle strade di campagna in mezzo alle coltivazioni di pomodori. Avremmo quindi bisogno di una sola maglia che mantenga, autoregolandosi, una temperatura costante sulla pelle di 30/ 32 gradi. Si potrebbe fare una maglia con un sistema di aperture e chiusure tipo le squame. La maglia a squame, ecco!

Lei mi guarda poco convinta. Insomma non potremmo mutuare da qualche idea geniale della natura o degli animali? Ci sarà una branca dell’ingegneria, un tecnico dei materiali?

Silvia rimane perplessa ma io sento che potrebbe essere il business del futuro la maglia a squame. Se qualche imprenditore volesse investire in un progetto di sicuro successo cerchiamo un ingegnere visionario ed è fatta.

Tra l’altro sono sicura che questo risolverebbe anche l’increscioso odore di treno dai vestiti nonché i problemi di spazio, permettendoci di portare dell’elegante abbigliamento per la sera, per non farci più sfigurare al ristorante di fianco alla tizia in lamè.

Ci sarebbe posto per dei magnifici foulard di seta che all’occorrenza potremmo comunque far lavare alla modica cifra di 7 euro.