È il quarto giorno, lunedì, stabiliamo dopo esserci consultate. Sono bastati quattro giorni per farci perdere totalmente la cognizione del tempo, complici anche i cellulari morti dopo i campeggi selvaggi senza acqua, luce e corrente, appunto. 

Nei campeggi molto selvaggi del Canada non c’è luce, non c’è acqua potabile, non ci sono docce, c’è un bagno che è un buco con un coperchio ma in ogni piazzola c’è un braciere bellissimo per fare il fuoco. 

Sei sei un vero canadese oltre ad avere un camper enorme, ma enorme che da fuori ti immagini di entrarci e trovarti nel salone con la scalinata del Padrino, hai due sedie pieghevoli per goderti il fuoco e una camicia a quadri, ma soprattutto e assolutamente un’ascia per tagliare in due i ciocchi di legna che puoi comprare all’ingresso del campeggio. Noi con le nostre tende minuscole, in piedi a rintuzzare il fuoco prodotto dai nostri ciocchi enormi, veniamo guardate con scherno e una certa superiorità. 

Nei campeggi devi riporre tutto il cibo e ogni cosa che abbia un’odore attrattivo per gli orsi; caramelle, dentifricio, bombole del gas, dentro una cassetta di metallo chiusa a chiave. Per sicurezza comunque devi avere sempre con te uno spray anti orso.

Io sono la responsabile dello spray, che è un po’ come la responsabile della sicurezza in ufficio, fai il corso ma speri sempre che non serva. Così io spero che quello spray non debba mai essere sganciato dalla forcella della mia bici. Lo spray è otto volte più potente di quelli usati dalla polizia, ha una gittata di quindici metri e fa molta più paura dei grizzly. 

In realtà i grizzly si sono tenuti alla larga, finora, dalle nostre bici, grazie ai campanelli anti-orso. Cinque campanelli: due io, due la Pez e uno Ramona, Silvia si è rifiutata, che per i primi due giorni hanno allietato la nostra pedalata facendoci sentire come in un alpeggio circondate da mucche ruminanti. Poi col passare dei giorni e nei momenti di fatica lo scampanellio ha cominciato a dare sui nervi a tutti. Fino ad arrivare al terzo giorno in cui anche l’irriducibile Pez ha strappato il suo dal manubrio al grido di fuck the bears! 

Il terzo giorno mette a dura prova più o meno tutte. Siamo pronte per affrontare l’Elkpass a 1900 metri, ci hanno preparate alle asperità del percorso ma spingere subito i trenta chili di bici su per una salita sterrata che sembra un muro ci spacca le gambe, ci toglie il fiato e ci fa dimenticare il pericolo orsi che solo la notte prima giravano a pochi metri dalla nostra tenda. L’entusiasmo però rimane alto, i posti sono bellissimi, il silenzio rotto solo dalle solite campanelle appese alle bici, la conquista del passo ci esalta. Ora dopo le foto di rito sotto alla porta in legno di Elkpass e dopo due ore di fatica dovrebbero attenderci lungi chilometri in discesa, così dice la mappa. In realtà come al solito le mappe sono menzognere, ma a questo argomento mi dedicherò nei prossimi giorni, e i cinquantacinque chilometri che ci aspettano sotto il sole cocente delle due del pomeriggio sono un’alternanza continua di salite e discese in cui ci lanciamo a rotta di collo, nonostante lo sterrato pieno di buche, per prendere l’abbrivio per la salita successiva.

È lì dopo la ventesima salita a picco, mentre la Pez stacca il campanello, che penso che la prossima estate la voglio passare a Rimini, su una sedia a sdraio, facendo l’uncinetto. O in alternativa, visto che ormai siamo senza i campanelli, mangiata da un orso che metta fine a tutte queste sofferenze, hashtagfuckthebears, hashtagriminieluncinetto.

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