Questo è un tatuaggio cholo, dice l’uomo indicando il suo braccio, io sono un cholo. Un gangster. È appoggiato al muro e cerca di darsi un contegno da duro, in realtà appena si distrae gli viene una faccia da buono, con degli occhi dolcissimi. Siamo fuori dal Cacho Wash, un edificio nel mezzo del deserto con una pompa di benzina, un piccolo grocery e soprattutto una enorme lavanderia a gettoni, vero centro di attrazione di tutta la zona. L’uomo è un indiano Navajo, e viene qui ogni tanto per incontrare gli amici, dice, noi campeggeremo insieme ad altri ciclisti in un’area vicino alla pompa di benzina, di fianco a un vecchio vagone del treno con un enorme scritta Santa Fé sulla fiancata.
Abbiamo appena beccato la tempesta perfetta: fulmini, secchiate di pioggia, vento e grandine, abbiamo provato a ripararci buttandoci ai lati della strada, coprendoci la testa e le spalle con una delle borse da bici perché la grandine, palline di cinque-sei millimetri che piovono giù a duecento all’ora, fa veramente male. Le rare macchine intanto ci sfrecciano di fianco a tutta velocità alzando onde altissime, totalmente incuranti della nostra disperazione. Appena la grandine diminuisce proviamo a pedalare più veloce che riusciamo sotto a scrosci d’acqua che in discesa diventano torrenti.
Quando da lontano avvistiamo l’insegna dello Chaco Wash ci sembra il paradiso. Ci mettiamo vestiti asciutti, ci prendiamo un the caldo, buttiamo tutte le cose bagnate e le scarpe nell’asciugatrice, ci sediamo nella lavanderia assieme a famiglie di indiani con sacchi così grandi di roba da lavare, e poi asciugare, che staranno qui una settimana, bambini che disegnano coi gessetti colorati su una lavagna, due televisori sintonizzati uno su un canale di food e l’altro sui cartoni animati.
Mentre aspettiamo che la nostra roba si asciughi carichiamo i cellulari, mangiamo dei vermi gommosi che abbiamo comprato nella grocery, guardiamo con un occhio la gara di cuochi che cucinano carne alla griglia e con l’altro i cartoni animati ideati da sceneggiatori probabilmente sotto acido.
Quando usciamo per andare a montare la tenda finalmente ha smesso di piovere, il nostro amico cholo è appoggiato ancora lì, al muro, guarda davanti a sè pensieroso e fuma, appena ci vede ci sorride e prova a riattaccare discorso. Due cani cominciano a gironzolarci attorno in cerca di cibo, un maschio baldanzoso e una femmina spaventatissima, con la coda fissa tra le gambe. Decidiamo di chiamare lui Paco Rabbane perché ha un’aria da sciupafemmine e lei Frida perché è messicana e sembra aver passato tante disgrazie; gli diamo il tacchino del giorno prima che abbiamo avanzato e poi dei pezzetti di formaggio che divorano come non mangiassero da mesi.
La sera torniamo nella lavanderia per usare il bagno e farci una tisana, usando l’acqua bollente dell’angolo caffè della grocery; le lavatrici lavorano ancora a pieno regime, uomini e donne se ne stanno mollemente seduti sulle sedie di plastica in attesa, qualcuno fissa l’oblò, qualcuno segue senza interesse l’ennesima gara di barbecue.
I Navajo, come tutti gli altri nativi americani, prendono sovvenzioni statali ma, ci dice l’amico cholo, siamo talmente in tanti che se li intascano in pochi, e in effetti basta fare una rapida ricerca per trovare notizie su milioni di dollari intascati impropriamente dall’amministrazione indiana anziché essere distribuiti per aiutare i giovani con il college e gli anziani indigenti.
Il tatuaggio raffigura una donna bendata e il nostro amico ci racconta che significa che ogni uomo deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni, in realtà mentre l’uomo continua a raccontare del suo clan e degli amici che stanno arrivando io penso a Tex Willer, che mio fratello collezionava quando eravamo piccoli, alla moglie di Tex Willer appartenente a una tribù Navajo, alla fierezza dei copricapi e del portamento dei guerrieri indiani a cavallo, alla frecce scoccate con precisione inesorabile, ai gilet di pelle su torsi nudi muscolosi contro le pance gonfie di alcol sotto alle magliette bucate di adesso, e penso che quella donna bendata si stia semplicemente risparmiando tutto questo presente in attesa di un futuro migliore.
Quando stiamo andando a dormire l’amico cholo è ancora appoggiato al muro. Fuma. Mi sa che oggi i suoi amici non verranno.
E… complimenti per l’abbronzatura che vi porterete a casa.
m.
E io pensavo fosse un gelato … il ghia cholo
ahahahah
coraggiosissime sotto la grandine!!!
bello leggervi, vi ho scoperte da un paio di mesi e non vi mollo più!!
spero farete serata di racconti a Milano al rientro, così vengo a conoscervi di persona…!
Che bello sapere di avere delle lettrici affezionate ‘che non ci mollano più’!
Faremo sicuramente a breve una serata per raccontare il viaggio. Seguici su facebbok che mettere l’evento.
Baci