Girls you are very brave!

Crazy, not brave.

Mark ride di gusto mostrando dei denti bianchi perfetti, dice che siamo coraggiose ma io penso davvero che sia più una pazzia che altro, l’idea di pedalare in Namibia.

Ci viene a prendere in aeroporto e ci porta a Windhoek, la capitale, da cui partiremo domani. Alle 8 del mattino in aeroporto ci sono 3 gradi, ma poi si scalda ci rassicura Mark. Ci affitterà la macchina che guiderà Pietro, per la prima volta viaggiamo con un fotografo che farà le riprese del viaggio. Sarà strano sapere che non siamo lasciate a noi stesse come negli altri viaggi, che abbiamo un piccolo paracadute. Mark spiega dettagliatamente come mettere le ridotte per guidare nella sabbia, dopo tre secondi mi sono già distratta speriamo che Silvia abbia seguito con attenzione.

La stessa risata di Mark la ritrovo il giorno dopo nella House of Hope nella township di Katutura, Foibe la responsabile della House of Hope, ci racconta del progetto coi bambini della township: i più poveri o quelli che sono stati buttati fuori dalla scuola finiscono qui. Foibe con il suo inglese perfetto, racconta anche del progetto delle bici. Le biciclette qui sono un mezzo per muoversi, per andare al lavoro, per arrivare in città. Troppo poveri per avere una macchina o un animale. Promuovere l’uso della bici potrebbe sapere una soluzione. In un container di fianco alla scuola è allestita una ciclo officina. Ci sono cerchioni appesi e ammucchiate in un angolo delle bici scassatissime che aspettano di essere aggiustate Hileni è l’addetta alla sistemazione delle bici, coi soldi delle riparazioni si finanzia anche il progetto della House of Hope.

In questa situazione di povertà estrema ci sentiamo in imbarazzo con le nostre bici nuove, le borse perfette, il completino gravel a cui abbiamo staccato l’etichetta stamattina. Come si fa a vivere qui? In mezzo alla spazzatura, senza cibo, elettricità, bagni, prospettive? Eppure Foebe ride ad ogni battuta con una risata allegra, aperta, semplice, spontanea. Mi stupisco perché mi sembra di non sentire ridere così da anni. Come se noi avessimo delle risate più sofisticate, trattenute, smaliziate, come se loro ridessero liberi con tutto il corpo e noi solo con la bocca. Noi intendo quelli della parte ricca del mondo. Noi abituati a controllare le nostre risate nei selfie, nelle videochiamate, in Skype .

Anche i bambini che incontriamo per strada, quando Hileni e Thomas ci accompagnano a fare un giro in bici tra le baracche di lamiera, ridono sguaiati nelle loro divise scolastiche quando si avvicinano alle nostre bici. Noi animali esotici ai loro occhi, loro animali esotici ai nostri. Non sembrano più infelici dei nostri bambini che hanno tutto, hanno troppo. Mi ritrovo a guardarli come altre volte, in altri viaggi, sembrano così spensierati in questa libertà fatta di niente. Io ovviamente non so cosa vuol dire davvero vivere qui, che livello di pericolo e violenza ci possa essere. Ma la loro vitalità mi colpisce, come le loro risate. Cosa abbiamo perso con tutto il nostro benessere e con la sicurezza delle nostre vite?

Mentre una bambina più timida delle altre si avvicina incuriosita, mi guarda con degli occhi neri grandi come due fari, mi chiedo se per caso anche qui si possa nascondere una piccola Alfonsina Strada, se anche qui si possa prendere una bici e andare via, sempre più lontano da casa. Se vedere queste due cicliste, queste due donne con le loro bici perfette, questi due animali esotici, possa far nascere un’idea, una possibilità, nella testa di questa bambina. Che si immagini che il futuro già segnato per lei non sia così segnato, che forse se pedala abbastanza forte può andare dove vuole. Che c’è un mondo che aspetta di essere scoperto, lontano da qui o anche dietro l’angolo.