«Ehi, fermatevi a riposare!». Le parole ci colpiscono mentre sfrecciamo sulla statale che da Taormina ci porta ad Aci Trezza, e ci vuole qualche centinaio di metri prima che un suono indistinto in mezzo al traffico venga decodificato come un invito destinato a noi.
La ragazza di colore è ferma sotto a un cavalcavia, all’ombra. Ha una bicicletta e un turbante coloratissimo in testa. Urlo a Silvia che mi precede: «Diceva a noi! Che facciamo? Torniamo indietro?». La tentazione è forte, un incontro inusuale e magari una storia da ascoltare.
Ma siamo in ritardo, ci aspettano per darci le chiavi della nostra stanza entro le cinque. Rallentiamo, tentenniamo, e poi a malincuore riprendiamo a pestare sui pedali con ritmo sostenuto.
Per un quarto d’ora penso alla ragazza sotto al cavalcavia e alla storia che non potremo mai raccontare e la mente comincia a macinare pensieri e idee come spesso accade nei tratti lunghi in cui bisogna stare in fila indiana, lungo una strada anonima, concentrati solo sul ritmo delle proprie pedalate. E allora vado avanti e indietro nei ricordi di questo mese a cercare tutte le storie che non abbiamo potuto raccontare. Le storie mancate.
C’è una donna in spiaggia vicino a Tropea che piange sdraiata sul suo lettino sotto al sole, il marito è seduto nel lettino di fianco, piegato verso di lei, ha un tono di voce basso, pacato, e cerca di calmarla. Lei ribatte con tono piangente e poi singhiozza e dice che sono due anni e mezzo che aspetta che le cose cambino. Da lontano sembra un concerto per voce grave e voce triste, nulla più.
C’è Doriano che gestisce un chiosco di piadine e porchetta sul Passo della Collina, tra Porretta Terme e Pistoia. È un femminista, è anche molto cattolico, ma critica Karol Wojtyla che nella sua ultima enciclica ha detto che la donna deve obbedire al marito. Lui non sa perché è femminista, forse perché suo padre che era tanto un bravo uomo ogni tanto gli dava a sua madre. E allora a lui queste botte non sono mai andate giù. E dice che la Chiesa sbaglia: «Ci vorrebbero più donne come voi, che vadano in giro in bici da sole e mica stanno a casa a preparare il pranzo al marito». E aggiunge che bisognerebbe proprio cambiare l’idea sulla donna. Lui quando va dal suo amico che fa il meccanico di auto glielo dice sempre di non appendere quei calendari di donne nude, che si comincia anche da lì.
C’è il figlio della partigiana Angela che arriva mentre stiamo intervistando la madre; è silenzioso, timido, si siede in disparte e viene tirato in ballo quando Angela parla dei suoi nipoti. «Lui è un bravissimo padre eh; come marito, insomma… Si è separato. Non crede nel matrimonio, si vede…». Il figlio della partigiana Angela alza gli occhi al cielo, ma senza enfasi. Non dice nulla, sospira.
C’è una cameriera di Gioia Tauro che ci dice: «Come vi invidio». Si attarda col marsupio a darci il resto e ci guarda con gli occhi pieni di voglia di partire, con una nostalgia dolce nella voce mentre ci augura buon viaggio.
C’è una cameriera dopo Salerno che ci dice «come vi invidio», ma non è vero. È bionda, simpatica e sorridente, e non vorrebbe andare in nessun altro posto.
C’è una ragazza di Montalcino che sa fare dei mazzolini di fiori bellissimi. È tedesca e ha trovato qualcosa in queste colline toscane. Ma noi non sappiamo cosa.
C’è Claudia, che forse ha perso per sempre l’amore della sua vita, ma dice di aver fatto tutto quello che poteva fare.
C’è Marcello, che ha una passione per le cicogne e ci porta in bicicletta a vedere un loro nido. Ci racconta che le cicogne sono monogame, «almeno qui in Calabria», dice, e torna il giorno dopo in macchina a cercare un cagnolino che avevamo visto abbandonato lungo la strada.
C’è Andrea che ci dice che in Sicilia ci sono tantissime storie di donne che vorrebbe raccontarci. C’è sua nonna che negli anni Venti suonava il sax in un’orchestra jazz e guidava la moto Guzzi dei fratelli. C’è la bisnonna di sua moglie che nel 1850 ha aperto un negozio di tessuti che ha resistito per tre generazioni. Era una commerciante così brava che la Somma, nota azienda tessile, le aveva dedicato un tessuto: tela Giuseppina.
C’è una prostituta lungo una strada che costeggia una pineta vicino a Paestum; ha lo sguardo sfrontato e distante e aspetta in mezzo alla spazzatura.
C’è una vecchietta, dopo la lunga salita di Giarre, seduta su una sedia di fianco alla strada, coi capelli tinti di nero e lo sguardo dolcissimo e liquido. Risponde al nostro saluto con la mano, la scuote, la sua mano rugosa, e sorride, come se si fosse risvegliata da un suo mondo lontanissimo, ed è il più bel augurio della giornata. Andiamo avanti a cercare la discesa e sorridiamo anche noi, il suo stesso sorriso, senza quasi accorgersene.
Care Cicliste, vi aspettiamo, quest’autunno, qui – a Montalcino – con il Sindaco che si è rammaricato per non essere riuscito a darvi il benvenuto e a fare due chiacchiere con voi.
Vi aspettiamo, per ascoltare la vostra storia – le vostre storie – per intrecciarle con le nostre e per far nascere da un’altra storia e tessere insieme la tela di un nuovo racconto.