Se incontrate un grizzly fingetevi morte. È l’unica possibilità di salvarvi. Se invece incontrate un orso bruno combattette, giocatevela.

Combattete? Giocatevela?

I consigli degli esperti su come gestire gli animali selvatici durante i viaggi in bici sono sempre abbastanza assurdi. Sulla carta di buon senso ma all’atto pratico ti ci vedi che di fronte a un grizzly ti butti a terra e rimani inerme come un morto?

Negli Stati Uniti avevamo uno spray anti-orso venti volte più potente di quello della polizia e abbiamo dovuto lasciare un documento, come se fosse un’arma. Io durante il viaggio ero l’addetta allo spray e avevo più paura dello spray che dell’orso.

In Sicilia siamo partite il secondo giorno da Alcamo su uno sterrato in campagna, sollevate di non dover rifare le strade trafficate del primo giorno. Poi dopo qualche chilometro abbiamo incontrato due cani randagi, ci hanno abbaiato rincorrendoci per qualche metro, poi si sono fermati. Abbiamo accelerato sui pedali. Ci siamo un po’ spaventate e io ho preso un giunco strappandolo dal lato di un fossato e l’ho portato con me perché mi faceva sentire meno scoperta, disarmata, indifesa.

Gli esperti dicono che non bisogna scappare, non bisogna urlare, non bisogna alzare bacchette da trekking o bastoni, non bisogno dargli da mangiare o utilizzare armi di nessun genere. Bisogna stare immobili a lungo e poi allontanarsi lentamente. Se sono cani da gregge allora bisognerebbe fare un segno con il braccio e urlare: ”vai alle pecore”. Me lo segno per il prossimo viaggio, in questo abbiamo già sbagliato tutto.

Dopo qualche chilometro la strada si è trasformata in una pozza di fango, non sapevamo più come uscirne, grossi blocchi a incastrare le ruote e piedi che pesavano dieci chili. Mezz’ora a scrollarsi fango di dosso e a scastrarlo con le mani dal cambio, dalla forcella, dalle tacchette dei pedali.

Avevamo appena liberato la bici dalla morsa del pantano e stavamo riprendendo a pedalare, col fango schizzato fino ai capelli, che dal nulla sbuca fuori un bracco, una femmina con degli occhi dorati dolcissimi e imploranti e le costole sporgenti sotto il pelo sottile. Persa, affamata eppure allegra sulle zampe magre. Ci siamo guardate in giro per provare a capire da dove potesse arrivare, una casa, delle rovine. Niente.

Le abbiamo dato tutto quello che avevamo, dei biscotti e un pezzo di banana. Le farà male la banana?  

Ne approfitto per sciogliere i muscoli delle spalle, il trapezio e le fasce cervicali che nei primi giorni in bici si intorpidiscono e poi la sera fanno male. La cagnolina è sempre lì che ci aspetta. Riprendiamo a pedalare e lei ci segue, anzi in realtà è lei che ci guida. Corre avanti, ci aspetta, poi divaga sui lati annusando, seguendo delle piste, poi risbuca da un cespuglio e passa tra le nostre bici. Una danza che dura chilometri e chilometri. Ci ha scelto e non ci molla. Io e Silvia cominciamo a fantasticare sul portarla con noi, darle un nome, proteggerla dalle strade e dalle macchine.

Potremmo chiamarla Gibellina che è il posto più vicino sulla mappa. Gibellina detta Lina. Intanto maciniamo chilometri tra pozze di fango, campagna sterminata e verdissima, mentre Gibellina detta Lina continua a correre facendo il doppio dei nostri chilometri con un’energia incontenibile e inspiegabile vista la magrezza, finché arriviamo a incrociare una strada asfaltata, qui potrebbero cominciare a passare delle macchine e abbiamo paura per lei.

Silvia comincia a chiamare le associazioni cinofile della zona, veterinari, volontari. È il 31 di dicembre molti sono chiusi, altri non sono disponibili. Finalmente troviamo Emanuela una veterinaria di Castelvetrano che ci indica una volontaria che potrebbe venire a recuperare la cagnolina. Intanto Gibellina sta lì con noi che ci siamo sedute sul margine della strada; si fa accarezzare, si lecca cercando di togliersi il fango dalle zampe. C’eravamo dimenticate dei cani randagi e invece da un sentiero laterale ne sbucano tre che arrivano con fare bellicoso, io ho ancora il mio giunco e cerco di tenerli lontani, roteo, intimo, mi mostro spavalda andandogli incontro e loro per fortuna si allontanano e spariscono continuando ad abbaiare. Non abbiamo nemmeno finito di tirare un sospiro di sollievo che in cima alla strada si profilano cinque maremmani attirati dall’abbaiare dei tre randagi e dopo pochi minuti altri tre dall’altro lato della strada deserta. Siamo chiuse in mezzo ai due branchi, ci immobilizziamo tenendo ferma Gibellina detta Lina, il cuore a mille. Cinque più tre, cosa facciamo se ci attaccano otto maremmani? Chiamiamo Asia la volontaria che sta arrivando a prendere Gibellina detta Lina. Asia ci stiamo cacando addosso dove sei?

Per fortuna la nostra immobilità immobilizza anche i cani, ma ci sentiamo strette in una trappola e finché non arriva Asia siamo sulle spine a guardare a destra e sinistra per vedere se i cani si spostano.

Il piano originario di arrivare per pranzo a vedere il Cretto di Burri sfuma. Il benzinaio di Gibellina Nuova ci consiglia di dormire a Santa Ninfa e andarci domani. Sono quasi le quattro tra poco fa buio ma almeno ci avviciniamo. Il nostro ultimo dell’anno lo passiamo in un b&b mangiando una parmigiana scaldata nel microonde e dei mikado come dolce; non esattamente la cena che ci eravamo immaginate ma il pensiero di aver salvato Gibellina ci scalda più della parmigiana tiepida.

L’indomani arriviamo al Grande Cretto che il cielo si è appena aperto e lo spettacolo è impressionante. Mi riservo di documentarmi meglio sulla storia del terremoto del Belice e sulla storia del paese in macerie. L’opera incredibile di Burri mi spiazza. La trovo grandiosa ma mi congela. Mi sembra un’enorme pietra tombale a sigillare e rendere muto un passato e una storia di cui non resterà più traccia. Qualcosa di stupefacente e mortifero assieme. La mia mente si esalta, il mio cuore si stringe. Ci penserò ancora e ancora nei lunghi tratti silenziosi in bici, in tutti quei momenti in cui la bici scandisce e sistema i pensieri e le sensazioni.

Gibellina detta Lina ha un microchip. La veterinaria ci avvisa mentre stiamo pedalando verso Mazzara. Il cielo si sta stringendo sempre più grigio, l’aria è fredda, verso il mare si profila un temporale. Tremiamo. Il padrone di Gibellina detta Lina è stato rintracciato. Pare fosse la terza volta che scappava in due anni. Lui comunque la rivuole, l’ha addestrata per la caccia, è di razza.

Gibellina detta Lina non tornerà a Milano con noi, non potremo più proteggerla dalle strade pericolose ne essere squadrate dai suoi occhi dolci. Ma siamo sicure che cercherà ancora di scappare e chissà che un giorno non sbucherà fuori all’improvviso in mezzo alle ruote delle nostre bici.

Allora la guarderemo e capiremo finalmente qual era il nome che cercavamo per lei.

Libera, ecco qual è il nome giusto per te, le diremo, mentre ci annuserà una mano sperando che si apra su un biscotto prelibato.