A una trentina di chilometri a nord di Almeria, tra un tornante e l’altro si inciampa in un varco spazio temporale e si finisce nello Utah, in Arizona, anzi no in Messico.
Deserto, canyon, le cime della Sierra Nevada in lontananza e un caldo infernale. Qui Sergio Leone scelse il deserto di Tabernas, l’unico deserto d’Europa, per girare alcuni dei suoi spaghetti western più famosi. L’ambientazione era davvero simile a quella del vero Far West ma con il vantaggio di costi di produzione molto più bassi, ovviamente.
Io oggi decido di sfoggiare la canottiera per dare un senso al mio bagaglio e per provare a smorzare il segno indecente della maglia. Ma dodici giorni di sole sono duri da cancellare dalle braccia, nonostante oggi sia una giornata di sole cocente.
Arriviamo a Mini Hollywood, uno dei tre set cinematografici rimasti inalterati, che è mezzogiorno, un mezzogiorno di fuoco potremmo dire per restare in tema, pronte per immergerci nelle atmosfere dei vecchi film della nostra infanzia, ma un indolente signore seduto alla biglietteria ci dice che il parco tematico è chiuso.
Sa per caso se Fort Bravo è aperto?
No lo sé.
Dopo aver condotto i nostri destrieri a rotta di collo giù da una discesa sterrata, col sole sempre più alto e l’aria rovente, arriviamo al cancello d’ingresso di Fort Bravo per scoprire che sta serrado, causa Covid.
Non ci resta che sperare nella piscina dell’albergo.
L’albergo è nel nulla lungo la statale, dopo Tabernas, dove pranziamo e riempiamo di pollo lo stomaco di una gattina che sembra aver appena partorito. Sembra un motel più che un albergo; enorme, su un unico piano, pare uscito da una puntata di Breaking bad, avrebbe bisogno di una seria manutenzione ma l’unica cosa che stanno sistemando è la piscina.
Quindi niente tuffo in piscina.
Siamo bloccate qui nel mezzo del deserto, col Wi-Fi che funziona solo vicino alla reception. Laviamo tutto il lavabile che tanto si asciugherà in un attimo, dormiamo, leggiamo.
La mattina dopo partiamo all’alba per andare verso San Josè, il mare finalmente. Ma le montagne da scavallare sono incappucciate di nuvole e appena cominciamo a salire sembra di stare in Cornovaglia. La strada è bellissima e deserta, piove ma io mi sento super in forma e la salita mi pare meno impegnativa di quello che è.
Quando scendiamo, dopo chilometri di tornanti e coniglietti che scattano da un lato all’altro della strada per tuffarsi nei cespugli col loro culetto bianco, finiamo in una brutta statale, accendiamo le luci e ci mettiamo in fila indiana, cercando sicurezza oltre la corsia di emergenza. Dopo qualche chilometro, coi camion che sfilano via veloci, ci si para davanti una collina bianca, non capiamo, siamo ancora molto lontane, ma avvicinandoci scopriamo che si tratta di serre, plastica bianca che ricopre un’intera collina. Terrificante anche se ancora non sappiamo niente.
Questa zona, storicamente depressa per la scarsa piovosità, è diventata da ormai 35 anni uno dei territori più fertili d’Europa, grazie all’agricoltura intensiva realizzata attraverso le serre. Qui si produce la maggior parte della frutta e della verdura che arriva sulle tavole di tutta l’Europa. Con le sue serre l’Almeria sta insterilendo il suolo, sta uccidendo la biodiversità, sta prosciugando le sue acque. In una parola sta autodistruggendosi.
Ma non è soltanto la terra ad essere sfruttata. Parliamo ovviamente di migranti. Quelli che arrivano dal Nord Africa attraverso Ceuta e Melilla, quelli senza permesso di soggiorno, i clandestini, i rifiutati. Si fermano qui perché dopo tre anni possono diventare cittadini spagnoli, così ci racconta un barista ma sono los esclavos del nuevo milenio. Già.
Andate a vedere dal satellite con Google maps a sinistra di Almeria e vedrete un’area grande come tre volte Milano totalmente ricoperta di plastica bianca. È ipnotico da quanto è mostruoso.
Capo de Gata per fortuna è parco naturale da almeno trent’anni e si è salvato dalla devastazione della plastica. Qui a pranzo mangiamo piatti vegetariani, pesce buonissimo e a colazione c’è addirittura la nutella al posto della solita tostada con tomate, la fetta di pane tostata con pomodoro che è l’unica colazione disponibile appena ci si allontanava da mete più turistiche.
Nel pomeriggio andiamo con le biciclette a esplorare le spiaggie più belle, ci arrampichiamo sulla duna altissima di Monsul, aspettiamo il tramonto mentre la spiaggia è spazzata da un vento freddo.
È uno strano giugno, di solito fa molto più caldo.
La sera tornando da cena in una via mezza illuminata una donna ci chiede aiuto per far entrare nella sua piccola utilitaria un materasso che qualcuno ha abbandonato per strada.
Ma non entrerà mai diciamo noi, Ma lo necessito dice lei con un sorriso, insistendo. Eh niente dopo dieci minuti di tira-spingi-alza-sposta il sedile, il materasso entra. Lo necessita e lo porterà a casa!
Qualcuno stanotte dormirà più comodo, una piccola cosa che rende anche il nostro sonno più giusto.
Bello leggervi! Mi è venuta voglia di visitare l’Andalucia…in bici, in auto, a piedi …si vedrà…
Scioccante la visione con Googlemaps… avevo guardato a destra e mi era sembrato già impressionante …poi mi sono ricordata che avevate scritto a sinistra…
E dire che sono abituata alla mostruosità delle serre, numerose qui a sud nella zona di Pachino…
Buon rientro!
Grazie Giuseppina ❤️
Sempre piacevole leggerti
Culetto bianco ma con i vorticini?!? ☺️
Ahah no niente vorticini, a cuoricini ❤️
Sempre bello leggervi <3
Grazie Michela!
è simpatico leggervi.
Sarebbe utile avere info sui luoghi delle foto o qualche vostro bereve commento.
Complimenti, sonia.
Ciao Sonia, se ci segui anche in facebook o in instagram trovi qualche info in più sui luoghi che visitiamo. IL blog ha questo taglio, forse poco informativo in senso stretto ma più evocativo ed emotivo. Questo è il modo in cui abbiamo deciso di racconatre i viaggi…