Prima di Cordova erano solo aranceti, da Cordova fino a Granada è tutto una distesa di ulivi, letteralmente a perdita d’occhio. Per due giorni incredule, ma ancora?, vediamo solo uliveti e cominciamo a spiegarci le olive che ci portano al tavolo a ogni piè sospinto. Faccio una breve ricerca e scopro che in Spagna vengono prodotte 1,6 milioni di tonnellate di olio. La Grecia al secondo posto produce 265 mila tonnellate. L’Italia terza, scalzata dalla Grecia l’anno scorso, con 250 mila tonnellate. Giusto per capirci. Altro che ulivi a perdita d’occhio. Capi del mondo delle olive.

Dopo Granada ci inerpichiamo sulle Alpujarras della Sierra Nevada e qui il paesaggio cambia ogni minuto, anche se la fatica mi accorcia un po’ la vista e tutto diventa un’indistinta catena montuosa innevata sullo sfondo e vicinissimi milioni di fiori che invadono la carreggiata.

La Lonely Planet dice che in questo parco naturale ci sono 2100 specie di piante. Croco, narciso, cardo, trifoglio, papavero, genziana. E un’infinita serie di fiori senza nome che mi fermo a fotografare perché sono bellissimi.  Rosmarino e timo ovunque. E agavi enormi e rigogliosissime anche se siamo a 1400 metri di altezza.

Appena cominciamo la salita verso i tre pueblos blancos che si vedono abbarbicati già da giù ci da il benvenuto uno stambecco con il suo piccolo che attraversano la strada proprio qualche metro davanti alle nostre bici.

I primi tornanti è tutto un oh oh di meraviglia per i due ungolati, poi lo stambecco e lo stambecchino lasciano il posto alla concentrazione per la  lunga salita. La guida racconta dei tre borghi bianchi incastonati come gioielli nella montagna, imperdibili, e mentre ci avviciniamo a Pampaneira, il primo che incontriamo salendo, campeggia un cartello: Uno de los pueblos mas bonito de Espana. Ah vedi.

Ci fermiamo a riposarci un po’ e a bere dell’acqua gasata, che in tutta l’Andalusia costa come l’oro. Il primo dei pueblos mas bonito de Espana non mi sembra un granché ma c’è da dire che è difficile competere con gli stambecchi. Silvia è entusiasta, lei vede bellezza dappertutto e questo è uno dei motivi per cui l’ho sposata.

Capilleira è il più bello dei tre pueblos, con una parte centrale più antica di vicoli stretti e case bianche in stile berbero dal tetto piatto, con mille comignoli, qui gli arabi si rifugiarono in fuga dalla conquista cristiana di Granada. Una donna pulisce i suoi cavalli su una delle vie principali, decine di cani randagi ci abbaiano e poi ci seguono. Prendiamo un tinto de verano nell’unico bar aperto, diamo pezzi di jamon serrano a un cagnolino dal muso nero più intraprendente degli altri.

Partiamo la mattina già in salita ma poi restando in quota e godendoci il paesaggio della Sierra Nevada, tuffandoci in piccole gole e risalendo per passare in piccoli borghi ognuno dei quali si auto proclama patria del jamon serrano. Ed è tutto una fabbrica di saladero e seccadero.

Io dopo questi quindici giorni il prosciutto crudo tagliato al coltello non lo voglio più vedere neanche dipinto.

E in generale della carne non ne posso più.

La Spagna, ma anche l’Argentina secondo me, rimarranno per sempre un baluardo contro il veganesimo. Resistendo molto più a lungo degli arabi coi cristiani. Perché la carne per loro è una religione; il cameriere a cui Silvia stava chiedendo di togliere dal piatto di carne la morsilla, una sorta di sanguinaccio, ha cominciato a scuotere la testa incredulo e inorridito come di fronte a una bestemmia. Ma l’hai mai provato? Sta muy bonito, provalo. Niente, alla fine l’ha preso pur di non deludere il cameriere.

E quell’altro cameriere che per mezz’ora ci ha spiegato che stavamo per assaggiare un prosciutto di un pata blanca, ma che è come un pata negra, ha lo stesso patrimonio henetico però ha la pata blanca per un mistero henetico ed è ancora più buono della pata negra, insomma il più grande miracolo della natura dopo che Dio da una costola di Adamo ha fatto Eva.

Tra un saladero e un secadero ci infiliamo in una gola profondissima, portando la bici a mano perché il sentiero è ripidissimo e impervio, fino a un ponte di pietra che attraversa un rio a valle. Ora si tratta di risalire. Silvia manco a dirlo è al settimo cielo, e tocca dirlo lo scenario è davvero bellissimo, scatta foto, fa video, torna indietro, mettiti così, girati, ma la risalita è lunghissima e irta, un vero e proprio sentieri di montagna e la bici ce la dobbiamo caricare in spalla. Dopo un’ora il sentiero comincia a pianeggiare, si intravede la fine. Ci mancano ancora quarantacinque chilometri con tanta salita. Silvia vuole fare ancora foto, è stupendo! È stupendo. Io sono stremata col sudore che mi cola lungo la schiena.

Lei vede bellezza ovunque, sempre, e questo è uno dei motivi per cui certi giorni potrei divorziare.